Questo è un racconto che ho ritrovato, in tempi piuttosto recenti, abbandonato in un vecchio floppy-disk (sì, ne posseggo ancora!)… devo ammettere che rileggerlo mi ha provocato grandi emozioni.
L’altra me
Dov’è finita quell’altra me, quella che scriveva frasi tanto romantiche sul diario, quella che si fidava del prossimo tanto da aprire completamente il suo cuore, quella che aveva tante speranze ed altrettante certezze, che credeva nell’amore, nella bontà della gente, nel futuro?
Forse l’ho perduta crescendo, naturalmente, come accade a tutti, perché la vita porta inevitabilmente a fare i conti con una realtà ben diversa da quella che ci si immagina da piccoli. Ma è poi un percorso così naturale, così scontato e necessario? Si deve per forza abbandonare l’ingenuità ed il candore per diventare adulti forti, concreti e razionali? No, non credo che sia indispensabile diventare così cinici e disincantati come sono io ora, né, tantomeno, che tutto ciò derivi solo dal fatto di essere cresciuta.
E allora dov’è che l’ho persa, quell’altra me stessa, chi se l’è portata via?
Forse si è allontanata in un giorno di festa, quando mi sono lasciata comprare da una parvenza di affetto di cui avevo tanto bisogno. Forse ha provato il mio stesso ribrezzo, quando ha avuto la sensazione che mi fossi svenduta, come se dovessi ricompensare chi era interessato a me concedendomi, come se fosse l’unico modo per evitare che il suo interesse finisse, ed ha deciso di abbandonarmi. O almeno una parte di lei, quella più romantica, che credeva nei lieto fine, che credeva che un uomo non potesse dire cose che in realtà non sentiva solo per ottenere ciò che voleva, che non riusciva ad accettare l’idea del sesso senza l’amore.
O forse quello è stato solo l’inizio ed ha deciso di andarsene dopo che di uomini incapaci di manifestare sinceramente le loro intenzioni sin dall’inizio, ma che avevano bisogno di mascherarle con sentimenti e promesse, incuranti di portarsela via per sempre, ne ho incontrati altri, che hanno trovato lei via via più distante e me sempre più corazzata.
Forse, invece, loro non c’entrano affatto, ed è scappata via a gambe levate davanti alla sofferenza, davanti alla morte, al primo grande dolore per cui realmente non ci fosse un rimedio, per non sentire più quel vuoto insopportabile che seguiva me in ogni istante. Sicuramente l’ha fatto la parte di lei più speranzosa, quella che credeva in un futuro sereno e pieno di certezze, quella che non aveva mai pensato seriamente alla fragilità umana ed all’incertezza ineluttabile della vita, che credeva ci fosse ancora tanto tempo, per tutto.
O magari, anche allora si è solo un po’ allontanata, per medicarsi delle ferite troppo profonde, ma è sparita definitivamente quando quella sofferenza si è ripetuta di nuovo e a così poca distanza di tempo, lasciandomi stavolta più fragile e spaventata, convinta che fosse meglio una vita di arida solitudine o di rapporti esclusivamente superficiali, pur di non dover provare più quel dolore sordo ed incancellabile.
O forse è cominciato molto prima, forse da sempre meditava di abbandonarmi, da quel primo grande tradimento, quando io ero piccola e chi avrebbe dovuto proteggermi aveva invece preferito non credere alle mie parole ed alle mie richieste di aiuto per non doversi mettere in discussione, per non doversi confrontare col dubbio di aver sbagliato tutto. No, quello non l’aveva fatta allontanare; allora aveva sicuramente creduto che fosse solo un brutto episodio a cui il tempo avrebbe rimediato ed era restata, lasciando intatta la mia fiducia nel prossimo e nel futuro. Peccato, però, che il tempo rimedi solo in minima parte e rimargini solo in modo sommario le ferite.
In realtà, forse è davvero solo lo svolgere naturale della vita che porta a perdere o intaccare la parte più pura ed ingenua di noi, perché non sarebbe possibile, altrimenti, difenderci dagli avvenimenti e sopravvivere. Ma se è realmente così, perché ho la sensazione di aver perduto per sempre qualcosa di prezioso ed insostituibile e non di essermi liberata da qualcosa che mi limitava e rendeva eccessivamente vulnerabile?
© Federica Carmana, 2000